Do not quote without permission. Published on IL FATTO, November 23rd, 2011.
Abstract in English: In this article, I claim that the financial crisis is more a reputational crisis than an economic one. People are not greedy about the money, but about a subtler commodity, that is, the game of reputation, that makes them stay or perish in the market of information. As Gordon Gekko says in Wall Street II, the first thing to understand, if you want to undersand the financial world is that "It is not about the money. It's about the game. The game between people"
“It’s not about the money”
di Gloria Origgi
Vi siete chiesti perché in Wall Street 2, Gordon Gekko guardi con così grande interesse un disegno di bulbi di tulipani ? Ebbene, perché la prima grande bolla speculativa della storia fu proprio sui tulipani, introdotti in Olanda dalla Turchia alla fine del Cinquecento, e divenuti un’insania collettiva: prezzi da capogiro, fortune spazzate via per comperare un solo bulbo, che al picco della speculazione poteva raggiungere il prezzo corrispondente a dieci volte il guadagno annuo di un benestante olandese dell’epoca, e infine il crash: nel 1637 la bolla esplode e i protagonisti si trovano in mano nient’altro che delle grosse patate da piantare sul balcone. Perché? Com’è possibile che l’umanità rischi il suicidio economico collettivo per dei bulbi di tulipani? La risposta ce la dà ancora il buon vecchio Gekko, in una delle battute chiave del film: “It’s not about the money. It’s about the game. The game between people”.
Non è una questione di soldi. L’Homo oeconomicus razionale e interessato non si venderebbe le mutande, non metterebbe in ginocchio intere economie, non si giocherebbe il futuro dei suoi figli per ottimizzare il rapporto costi/benefici. It’s not about the money. E’ una questione di reputazione: di gioco delle parti tra animali sociali che devono stringere alleanze, imporre gerarchie, trionfare uno sull’altro e infine esserci, essere visibili, imporre il proprio nome prima di svanire nel rumore collettivo. La reputazione, questo strano elisir del presente, che guida le nostre azioni contro qualsiasi razionalità è una guerra che gli esseri umani giocano da sempre: una guerra di credibilità. Sono credibile se compro i tulipani, e se li compro io, i tulipani diventano un buon investimento anche per chi mi guarda, allora più la gente li compra, più io divento credibile, più i tulipani diventano un buon investimento. E così via. E così che si entra nelle bolle reputazionali che stanno facendo saltare in aria la realtà sotto i nostri occhi. La reputazione, ossia come ci vediamo visti, influenza il comportamento degli altri e il nostro, rendendo la nostra immagine sociale la vera protagonista delle nostre azioni, più di noi stessi.
Prendiamo il caso dei titoli di stato di Italia e Grecia. C’è da scrivere un Wall Street 3 su uno dei protagonisti di questa storia, il finanziere Jon Corzine, che aveva orchestrato il suo grande rientro a Wall Street con MF Global, dopo dieci anni dedicati alla politica e un passato da direttore di Goldman Sachs. Sconfitto nel 2010 nelle elezioni a governatore del New Jersey, Corzine decide di tornare alla grande agli affari: lancia MF Global, compra aggressivamente titoli di stato europei in caduta libera, sicuro che Bruxelles non lascerà mai cadere i suoi stati membri. Ma i titoli continuano a precipitare, il mercato non gli dà fiducia. I “regolatori” del mercato, come la Security and Exchange Commission iniziano a preoccuparsi, e chiedono a MF Global di proteggere i suoi clienti con un’ulteriore iniezione di capitale. Corzine non trova i soldi, è diventato troppo caro prestarglieli, le agenzie di notazione lo hanno bocciato. MF Global fallisce i primi di novembre. Qualche giorno dopo la tempesta finanziaria fa cadere le teste dei governanti di Grecia e Italia. Il gioco della reputazione è ormai interconnesso, anche perché chi dà voti e stellette a banche, imprese, università, stati, regioni, etc. sono sempre le stesse tre società, vecchie signore del mercato della credibilità, le americane Moody e Standard & Poor’s e la francese Fitch. Cosa sono le agenzie di rating? Sono delle agenzie che esprimono opinioni sulla credibilità di diverse entità - imprese, banche, stati - che vogliono partecipare al mercato del debito, ossia che vogliono prendere a prestito denaro. I ratings esprimono un’opinione, una stima della probabilità che questi enti hanno di rimborsare i loro debiti, opinione ovviamente di estremo interesse per i creditori. Il tutto cominciò all’inizio del ventesimo secolo, quando John Moody decise di vendere il suo parere sulla credibilità di varie compagnie ferroviarie americane che avevano preso a prestito ingenti somme di denaro dalle banche per costruire la rete ferroviaria del paese. Le informazioni si rivelarono preziose per gli investitori, e, dopo la crisi degli Anni Trenta, nessuno osò più prestare soldi senza prima chiedere l’opinione di Moody. Data la reputazione dei pareri di Moody, le stesse imprese cominciarono a pagare caro per farsi dare un voto. E così gli stati. Chi non è valutato, chi non è giudicato dall’occhio delle agenzie di rating semplicemente non esiste per il mercato. Così tutti accorriamo a farci dare voti, per esistere negli occhi degli altri, per far parte del gioco di credibilità che rende lo specchio delle nostre azioni più reale delle azioni stesse. La spirale della reputazione in cui il mondo sociale ci risucchia è un fenomeno ancora da capire a fondo. Ma una cosa è certa. It’s not about the money.