Wednesday, October 10, 2012

Le Arti dell'Islam al Louvre



Le arti dell’Islam
Parigi, Louvre, court Visconti, apertura: 22 settembre 2012
di Gloria Origgi

Un velo di maglie dorate si posa morbido come un tessuto a ricoprire l’intera corte Visconti del Louvre, dove si è inaugurato sabato 22 settembre il nuovo spazio espositivo dedicato alle arti dell’Islam. Quella tettoia ondulata e translucida, progettata dal milanese Mario Bellini e il parigino Rudy Ricciotti, in bilico tra il tappeto volante e lo chador, riassume il senso riconciliatorio del progetto di un’ala di arte islamica nel cuore del più grande museo di Francia, paese della laicità, che nel 2004 bandì con una legge il velo islamico in nome della Repubblica.

I visitatori che accedono dalla piramide d’ingresso del Louvre ai nuovi spazi, 2800 metri quadrati su due livelli, sono accolti in un ambiente scuro ed epurato, volumi in vetro e pavimenti di piastrelle nere incrostate di scaglie d’ottone che creano un eco cromatico con i riflessi della tettoia dorata e il cemento nero dei muri portanti.

All’entrata, sulla sinistra, una lastra di pietra scura commemora i nomi dei mecenati del progetto, finanziato per un terzo dallo Stato francese e per il resto da sponsor privati e donatori mediorientali: si ringrazia sua maestà il re Mohammed IV del Marocco, sua altezza lo sceicco Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah, emiro del Kuwait, sua maestà il sultano dell’Oman… la Francia repubblicana si piega a un rito diplomatico delicato e necessario: il riconoscimento da parte dell’occidente di una cultura islamica ricca e influente con cui il nostro passato e il nostro futuro devono fare i conti.




E difatti, le bellissime mappe digitali che accompagnano la mostra, incise anch’esse su lastre nere, s’illuminano di un azzurro iridescente per indicare l’espansione della civiltà islamica dal VII secolo in poi, dalla penisola arabica fino all’India e alla Spagna, un mondo immenso, una vera civiltà, con una sua unità estetica e culturale. Un racconto attraverso più di 2500 oggetti preziosi che rivoluziona la nostra concezione della storia, che mette in questione la retorica del ruolo centrale e unico della civiltà greco-latina nella formazione della cultura occidentale e la separazione netta tra oriente e occidente che ancora oggi influenza così profondamente la nostra lettura del mondo.




L’Islam, insistono le didascalie politically correct, non è solo una religione, è una civiltà. I suoi prodotti culturali vanno ben al di là della sfera religiosa: gli oggetti destinati alle élites - lampade, vasi, tappeti - hanno un’unità estetica e spesso i loro fruitori non erano neanche musulmani, come in Siria ad esempio, dove nel XII secolo la popolazione era ancora prevalentemente cristiana. La distinzione tra cultura islamica e religione musulmana è dunque il perno programmatico dell’intero progetto di presentazione di questa collezione di oggetti, la cui raccolta cominciò all’epoca della fondazione del Louvre e proseguì fino alla creazione, nel 1893 di una sezione del museo di “arte musulmana”, soprattutto religiosa, per poi evolvere, dal 1946 in poi, nella denominazione “arte islamica”, una concezione molto più vasta di questa espressione culturale, che per circa mille anni, dal VII al XVII secolo, si estese su un’area geografica enorme che ancora oggi porta le tracce di quel passaggio in certe forme che si ritrovano a Toledo come a Nuova Delhi, come i jalis, quei reticoli di pietra che coprono finestre e creano effetti di luce nei palazzi spagnoli e nelle regge dei maragià.



Così, la collezione ci trasporta per questo regno di mezzo, il trait-d’union tra oriente e occidente, tra i tappeti a decorazioni floreali di Samarcanda, ai motivi fitti di piante, animali e di calligrafie, ai cicli di immagini che si ritrovano su fregi, medaglioni, scatole in avorio, candelabri, lampade magiche. Ritroviamo le atmosfere incantate da Mille e una Notte, le spezie, i colori, gli azzurri profondi, i legni intagliati con i motivi a stella, gli ori e gli argenti. D’un tratto, una miriade di culture si fondono insieme sotto i nostri occhi: gli arabeschi spagnoli, la Sicilia, le steppe dell’Asia fino alla Cina, i profumi di zafferano, le pietre preziose, le turcherie, i Berberi, i magici elisir. Perché la cultura islamica non è solo cultura araba: i sultani di Bagdad, a partire dal XIII secolo, furono Turchi, e la conquista dell’Africa nera in nome dell’Islam è opera dei Berberi.




Dopo la visita al piano sotterraneo della mostra, il visitatore risale al livello della tettoia dorata: tra le vetrate si scorgono i muri della corte Visconti e, come per incanto, i motivi tipici disegnati sui mattoni di pierre de taille parigina che si ritrovano sulle pareti esterne di buona parte del Louvre, assumono qualcosa di orientale.



L’ala delle arti dell’Islam del Louvre è un atto simbolico concreto: dà un senso nuovo ai nostri occhi sospettosi occidentali a quella relazione ambivalente di appartenenza sognante e di paura che l’Europa intrattiene da secoli con l’Islam: rende i sogni d’oriente, i veli e i profumi, compatibili con il nostro mondo occidentale. E, in una strana mescolanza tutta francese di universalismo, grandeur e umiltà, è davvero un passo avanti per imparare che la tolleranza passa per nuove forme di racconto della nostra storia e modi nuovi di classificare e giustificare il nostro essere tra le cose.