Le arti dell’Islam
Parigi, Louvre,
court Visconti, apertura: 22 settembre 2012
di Gloria Origgi
Un velo di maglie
dorate si posa morbido come un tessuto a ricoprire l’intera corte Visconti del
Louvre, dove si è inaugurato sabato 22 settembre il nuovo spazio espositivo
dedicato alle arti dell’Islam. Quella tettoia ondulata e translucida,
progettata dal milanese Mario Bellini e il parigino Rudy Ricciotti, in bilico
tra il tappeto volante e lo chador, riassume il senso riconciliatorio del
progetto di un’ala di arte islamica nel cuore del più grande museo di Francia,
paese della laicità, che nel 2004 bandì con una legge il velo islamico in nome
della Repubblica.
I visitatori che
accedono dalla piramide d’ingresso del Louvre ai nuovi spazi, 2800 metri
quadrati su due livelli, sono accolti in un ambiente scuro ed epurato, volumi
in vetro e pavimenti di piastrelle nere incrostate di scaglie d’ottone che
creano un eco cromatico con i riflessi della tettoia dorata e il cemento nero
dei muri portanti.
All’entrata, sulla
sinistra, una lastra di pietra scura commemora i nomi dei mecenati del
progetto, finanziato per un terzo dallo Stato francese e per il resto da
sponsor privati e donatori mediorientali: si ringrazia sua maestà il re
Mohammed IV del Marocco, sua altezza lo sceicco Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah,
emiro del Kuwait, sua maestà il sultano dell’Oman… la Francia repubblicana si
piega a un rito diplomatico delicato e necessario: il riconoscimento da parte
dell’occidente di una cultura islamica ricca e influente con cui il nostro
passato e il nostro futuro devono fare i conti.
E difatti, le
bellissime mappe digitali che accompagnano la mostra, incise anch’esse su
lastre nere, s’illuminano di un azzurro iridescente per indicare l’espansione
della civiltà islamica dal VII secolo in poi, dalla penisola arabica fino
all’India e alla Spagna, un mondo immenso, una vera civiltà, con una sua unità
estetica e culturale. Un racconto attraverso più di 2500 oggetti preziosi che
rivoluziona la nostra concezione della storia, che mette in questione la
retorica del ruolo centrale e unico della civiltà greco-latina nella formazione
della cultura occidentale e la separazione netta tra oriente e occidente che
ancora oggi influenza così profondamente la nostra lettura del mondo.
L’Islam,
insistono le didascalie politically
correct, non è solo una religione, è una civiltà. I suoi prodotti culturali
vanno ben al di là della sfera religiosa: gli oggetti destinati alle élites - lampade, vasi, tappeti - hanno
un’unità estetica e spesso i loro fruitori non erano neanche musulmani, come in
Siria ad esempio, dove nel XII secolo la popolazione era ancora prevalentemente
cristiana. La distinzione tra cultura
islamica e religione musulmana è
dunque il perno programmatico dell’intero progetto di presentazione di questa
collezione di oggetti, la cui raccolta cominciò all’epoca della fondazione del Louvre e proseguì fino alla creazione,
nel 1893 di una sezione del museo di “arte musulmana”, soprattutto religiosa,
per poi evolvere, dal 1946 in poi, nella denominazione “arte islamica”, una
concezione molto più vasta di questa espressione culturale, che per circa mille
anni, dal VII al XVII secolo, si estese su un’area geografica enorme che ancora
oggi porta le tracce di quel passaggio in certe forme che si ritrovano a Toledo
come a Nuova Delhi, come i jalis,
quei reticoli di pietra che coprono finestre e creano effetti di luce nei
palazzi spagnoli e nelle regge dei maragià.
Così, la
collezione ci trasporta per questo regno di mezzo, il trait-d’union tra oriente e occidente, tra i tappeti a decorazioni
floreali di Samarcanda, ai motivi fitti di piante, animali e di calligrafie, ai
cicli di immagini che si ritrovano su fregi, medaglioni, scatole in avorio,
candelabri, lampade magiche. Ritroviamo le atmosfere incantate da Mille e una Notte, le spezie, i colori,
gli azzurri profondi, i legni intagliati con i motivi a stella, gli ori e gli
argenti. D’un tratto, una miriade di culture si fondono insieme sotto i nostri
occhi: gli arabeschi spagnoli, la Sicilia, le steppe dell’Asia fino alla Cina,
i profumi di zafferano, le pietre preziose, le turcherie, i Berberi, i magici
elisir. Perché la cultura islamica non è solo cultura araba: i sultani di
Bagdad, a partire dal XIII secolo, furono Turchi, e la conquista dell’Africa
nera in nome dell’Islam è opera dei Berberi.
Dopo la visita al
piano sotterraneo della mostra, il visitatore risale al livello della tettoia
dorata: tra le vetrate si scorgono i muri della corte Visconti e, come per
incanto, i motivi tipici disegnati sui mattoni di pierre de taille parigina che si ritrovano sulle pareti esterne di
buona parte del Louvre, assumono qualcosa di orientale.
L’ala delle arti
dell’Islam del Louvre è un atto simbolico concreto: dà un senso nuovo ai nostri
occhi sospettosi occidentali a quella relazione ambivalente di appartenenza
sognante e di paura che l’Europa intrattiene da secoli con l’Islam: rende i
sogni d’oriente, i veli e i profumi, compatibili con il nostro mondo
occidentale. E, in una strana mescolanza tutta francese di universalismo, grandeur
e umiltà, è davvero un passo avanti per imparare che la tolleranza passa per nuove forme di racconto della nostra storia e modi nuovi di classificare e giustificare il nostro essere tra le cose.