Articolo pubblicato su il Domenicale de Il Sole 24 Ore l'11 gennaio 2015. Tutti i diritti riservati.
Conosco bene
quella redazione massacrata ieri mattina a Parigi. Una camionetta della polizia
mi aveva accolta poco più di un anno fa mentre mi recavo a intervistare per Micromega, Gerard Biard, caporedattore
di Charlie Hebdo, per fortuna sopravvissuto all’attentato (si trovava a
Londra).
Settimanale satirico “Bête et
méchant”, dichiaratamente anti-clericale, era stato fondato nel 1960, sotto
il nome di Hara-Kiri, da François
Cavanna e da Georges Bernier, alias Professor Choron. Dopo numerose
incarnazioni, censure e resurrezioni, Hara-Kiri viene definitivamente proibito
dal Ministero degli Interni nel 1969 per un famoso titolo sulla morte di
Charles De Gaulle. Facendo eco ai titoli dei giornali che avevano commentato
pochi giorni prima la tragica notizia di un incendio in discoteca che aveva
provocato 146 morti, il giorno dopo la morte del generale De Gaulle nella sua
casa di Colombey, Hara-Kiri esce col titolo: “Tragico ballo a Colombey: un
morto”. Il giorno dopo la polizia mette i sigilli sulla porta della redazione.
Ma Cavanna, Topor, Wolinski - ucciso senza pietà a ottant’anni - non si
arrendono e in una settimana trasformano il mensile Charlie con cui collaborano
tutti, un giornale di satira e fumetti molto vicino al Linus italiano, in un
nuovo settimanale: Charlie Hebdo.
L’atmosfera della
redazione mi riportava indietro di trent’anni, ai Linus accumulati sul divano
nel salotto di mio padre, ai libri di Claire Bretecher che leggeva mia madre,
insomma, al laicismo spensierato e impertinente della mia infanzia negli Anni
Settanta. A quell’irriverenza allegra dei fumetti e dello spirito libertario e
laico, quel senso di sicurezza che solo la libertà di parola ci può dare,
perché solo chi è veramente libero è sicuro di sé.
Avevo chiesto a
Biard che cosa significasse essere un giornale “ateo”, come Charlie Hebdo si
dichiarava. Con il suo tono sornione mi aveva risposto: “Essere ateo significa
essere un giornale che si oppone a qualsiasi dogma religioso, che non crede
ovviamente alla superiorità di nessuna religione sulle altre e soprattutto che
si oppone a qualsiasi ingerenza del mondo religioso sul terreno politico”.
Mi raccontava che
erano sommersi dalle denunce e dai processi: associazioni religiose musulmane,
cattoliche, ebraiche…quella che li aveva denunciati più sovente era l’AGRIF, Alliance Génerale contre le racisme et pour
le respect de l’identité française et chrétienne, un’associazione di destra
integralista cattolica francese. Che il direttore, Stéphane Charb, morto ieri
in ospedale, aveva una guardia del corpo. Ma che tutto ciò non li spaventava
troppo. Perché, mi diceva, la laicità è una causa per la quale vale la pena di
morire: “Perché è il senso stesso della democrazia. Sappiamo ormai che la
democrazia è l’unico sistema di governo possibile. Senza laicità la democrazia
non funziona. E’ la condizione della democrazia, che è un sistema politico che
accetta di essere continuamente rimesso in questione”.
L’irriverenza di
Charlie Hebdo può certamente disturbare i benpensanti, ma i benpensanti
democratici tollerano di essere disturbati. E’ questa la democrazia. Tollerare
di essere disturbati dalle credenze e dalle dichiarazioni degli altri.
Tollerare che ci sia gente che incroci tutte le mattine, a cui dici buongiorno,
con cui lavori, che magari non la pensa come te.
Credenti,
non credenti, atei, mistici, benpensanti, compriamo tutti Charlie Hebdo questa
settimana per dire forte, ad alta voce, che nessuno chiuderà mai la bocca alla
libertà.