Saturday, January 28, 2012

La mort du lecteur/La morte del lettore


Nel 1968, in un celebre saggio, Roland Barthes – (che il raro pubblico che mi legge dandomi della snob intellettuale non sa nemmeno chi sia, ma non importa, in fondo è il punto di tutto il saggio di oggi, e poi, dài, c’è Wikipedia…) - dichiarava la morte dell’autore (uso i grassetti perché sembra che il nostro lettore vittorioso non legga nient’altro) ormai sorpassato dall’onnipotenza del lettore. Povero autore, scacciato dal suo regno, detronizzato dalla potenza dei linguaggi multipli, delle scritture multiple, dei dialoghi, le chat, le infinite conversazioni che gli toglievano qualsiasi autorità sul discorso, si ritrovava da re della parola a piccola comparsa in un groviglio di conversazioni a tutti i livelli che non avrebbe mai più controllato.

Eppure. Aveva davvero visto giusto Barthes? E’ l’autore che è morto?

Viviamo in un’era di possibilità infinite per il lettore: lo schermo serale dei nostri laptop pullula di blog, di forum, di giornali online in cui il lettore ha lo stesso, ripeto, sottolineato, lo STESSO diritto di parola dell’autore. Basta gerarchie, basta filtri di autorità, il lettore può leggere un articolo e rispondere dicendo che non è d’accordo, che ne sa di più, che contraddice la riga numero quattro con cui l’autore si faceva bello, grazie a un fondamentale volumetto che ha scritto sull’argomento…

Ma al lettore la parità non piace. L’autore è un nemico. Un nemico lontano e invincibile che mantiene il suo statuto di nemico solo grazie alla sua lontananza, alla sua totale superiorità gerarchica rispetto al lettore.

Il lettore non è purtroppo diventato re. E’ diventato schiavo della sua libertà. Il lettore legge, ama l’autore, e insieme, nella sua ambivalenza eterna, lo insulta, lo abbassa, lo bistratta, ma non parla con lui.

Mi capita di avere un blog su un quotidiano italiano, IL FATTO. Essendo abituata alla dialettica dal mio mestiere di accademica, quando il lettore commenta, anche aggressivamente, qualcuno dei miei articoli, la mia prima reazione è di rispondergli. Ma il lettore selvaggio, come l’ha ben definito il buon vecchio Umberto Eco, non vuole risposte. Non vuole dialettica. Vuole solo odiarti e insieme ammirarti nella tua infinita, incolmabile, distanza di autore. Un autore che gli risponde, che lo considera un interlocutore, non è più un autore: è uno sfigato in carne ed ossa come lui. Meglio azzerarlo, ammazzarlo, dargli del coglione che accettarlo nel proprio circolo di interlocutori. Perché se diventiamo tutti uguali, allora chi leggo? Mia nonna? Mio cognato che la sera parla di politica? No! Vogliamo autorità, vogliamo pareri che vengono dall’alto, dall’iperuranio, da un mondo delle idee a cui il lettore non avrà mai accesso perché NON VUOLE avere accesso.

Non esiste letteratura più ricca di quella dedicata alla vera identità dell’autore. Shakespeare era forse quattro donne, oppure era Marlowe, oppure il mandante dell’omicidio di Marlowe, ma, soprattutto, per favore, non fateci sapere chi fosse, perché se fosse umano, invece che sovra o sotto-umano, potremmo parlargli, magari dialogare con lui. E questo il lettore lo rifiuta.

Se prendete qualche minuto per leggere i commenti ai miei articoli online sul blog de IL FATTO, ci sono chicche meravigliose come: “L’autrice ha colto, non intenzionalmente ovviamente, il cuore del problema”, oppure “Bisognerebbe chiedersi a chi l’ha data via Gloria Origgi per poter scrivere tali cazzate su questo giornale”, o ancora “L’autrice dell’articolo dev’essere un’esperta di Copia/Incolla per aver messo insieme queste informazioni”.

A volte reagisco, contro il saggio consiglio del mio direttore, che pensa che al lettore selvaggio non valga la pena di dare una replica. Ma sto piano piano capendo che ha ragione lui. Non è l’autore che è morto, pace il buon Barthes. E’ il lettore. Triste, livoroso, incazzato, non cerca nessun dialogo. Ti odia e basta. Affogato in troppa informazione, il lettore galleggia, come un cadavere, senza sapere più come esercitare il suo potere di veto. Allora, come un kamikaze, spara su tutti, non accetta repliche, e si consola pensando che l’autore in fondo non esiste, è una costruzione culturale, e se qualcuno salta fuori in carne ed ossa e gli dice “Guarda, son qui! Sono l’autore! Ti tendo una mano: parliamo!” dev’essere un mandante di un partito realista pericoloso che vuole combattere le comode derive del post-moderno.

Caro lettore, tu n’es plus mon semblable, mon frère, sei una figura patetica, peggio delle vittime della pubblicità, che mi abbatte in pubblico e corre a comperare i miei libri. Ma ho ancora bisogno di te!

Il lettore è morto. Viva il lettore!!