Copyright Il Sole 24 Ore. This article has been published on the cultural supplement of Il Sole 24 Ore on May 20th 2012. All rights reserved. Do not quote without permission.
Invitato per un ciclo di conferenze settimana scorsa a Parigi, Galen Strawson, British Philosopher appartenente alla tradizione più genuinamente analitica, autore di monografie su metafisica e causalità, figlio dell’ancora più analitico Peter Strawson, insomma, il non plus ultra del filosofo canonico anglosassone, decide di parlare di “Coscienza, fosforescenza e svaprakaasa”. Cos’è?
Forse
il realismo ingenuo del filosofo analitico, che prende i concetti così come
sono, senza cercare di disvelarne la segreta natura di dispositivi di
dominazione, è l’atteggiamento giusto per ripensare la filosofia in chiave
globale, rispettando l’integrità di quei prodotti fragili che sono le idee
filosofiche ed aiutandoci, anche eticamente, a comprendere che le questioni che
tormentano i pensatori di tutto il mondo da sempre sono più simili di quanto
avevamo creduto.
Sul tema della filosofia globale, avevo organizzato una conferenza a New York nel 2011, all'Istituto Italiano di Cultura : Global Humanities. Il dibattito era su temi affini, e in generale, su come le scienze umane, così radicate in tradizioni e valori locali, possano globalizzarsi. Gli archivi del dibattito con tutti i testi presentati sono disponibili online a: http://www.interdisciplines.org/conferences/Global-Humanities
Invitato per un ciclo di conferenze settimana scorsa a Parigi, Galen Strawson, British Philosopher appartenente alla tradizione più genuinamente analitica, autore di monografie su metafisica e causalità, figlio dell’ancora più analitico Peter Strawson, insomma, il non plus ultra del filosofo canonico anglosassone, decide di parlare di “Coscienza, fosforescenza e svaprakaasa”. Cos’è?
L’incipit del discorso lascia il pubblico
stupito e impreparato: “Aristotele, Dharmakirti, Dignaga, Cartesio e Locke
avevano ragione: la coscienza comporta la coscienza di essere coscienti”.
L’affermazione è banale: è il punto di partenza, di dibattiti infiniti sul
regresso altrettanto infinito degli argomenti sulla coscienza. Insomma, il
contenuto è il solito, ma il packaging
è quello del nuovo millennio: e chi aveva mai sentito infatti un filosofo al
centro dell’Impero Occidentale citare nomi delle tradizioni filosofiche delle sue
ex-colonie?
In realtà,
l’India tra il quinto e il settimo secolo, quando fiorisce la scuola buddista
di Dignaga e del suo principale commentatore, Dharmakirti, è tutto tranne che
una colonia: è una cultura complessa e matura, in cui si sfidano tradizioni di
pensiero, come il buddismo e l’induismo. Durante quella che è considerata l’età d’oro della filosofia indiana, si
compie, grazie agli autori citati da Strawson, una vera svolta epistemologica,
grazie alla quale l’attenzione si sposta dalle questioni strettamente religiose
e metafisiche, alla comprensione di cosa costituisce una forma valida di
cognizione o pramana. La svolta
epistemologica di Dignaga non è però sufficiente a creare un ponte con la
filosofia occidentale. Per semplificare al massimo, il più grande divario tra
la filosofia orientale e quella occidentale è la separazione ossessiva, nella
nostra tradizione, tra io e mondo, tra soggettivo e oggettivo,
natura e cultura, coscienza e materia inerte, laddove la filosofia orientale
non separa i due piani, rappresentando invece il nostro rapporto col mondo come
circolare invece che verticale: non osserviamo dall’alto un mondo inerte: ne
siamo parte, e circolarmente lo percorriamo e ne siamo attraversati.
Il svaprakaasa, menzionato nel titolo della
conferenza di Strawson, è la coscienza come fosforescenza, uno stato
dell’essere che ha una luminosità speciale: illuminandosi illumina le cose
intorno a sé e, viceversa, per far luce sulle cose intorno a sé, fa luce su sé
stesso. La coscienza così intesa è una proprietà delle cose tutte, non limitata
ai soggetti. Ogni cosa può “riflettere” in questo senso la luce di un
intelletto che la pensa.
Strawson, come
David Chalmers, difende una posizione anti-riduzionista sulla coscienza, con un
tocco di new age, per cui la materia
e le cose tutte potrebbero essere potenzialmente coscienti. Ma nella sconfinata
bibliografia di David Chalmers dedicata alla coscienza non c’è nemmeno una
menzione di filosofi indiani. Ciò che è radicalmente nuovo è inserire nel cuore
del canone occidentale lo svaprakaasa,
il pramana e altri concetti affini.
Cosa stupisce
tanto di quest’operazione intellettuale? In primo luogo, la sua formidabile
ingenuità. Nessun filosofo sgamato post-moderno, che sa che il mondo è
socialmente costruito, avrebbe osato importare così acriticamente nozioni che
vengono da un mondo politico e culturale lontano nel tempo e nello spazio. Il
post-moderno ammonisce: non esistono i concetti in quanto tali che, come
prodotti di consumo, si possono trasportare da una realtà all’altra!
Eppure
l’ingenuità di Strawson ha il vantaggio di portare alla ribalta un linguaggio
che, nel contesto del dibattito dominante, non ci era familiare. Certo,
nell’era di Wikipedia è più facile
familiarizzarsi con lo svaprakaasa e
forse banalizzarlo, e postmoderni e specialisti di filosofia indiana
inorridiranno davanti a simili semplificazioni. Ma se la filosofia occidentale
non vuole asfissiare, se vuole togliersi quel centralismo che nell’era globale
non è altro che provincialismo, forse fa meglio a non imbarcarsi in
interpretazioni e disvelamenti di quel che davvero vogliono dire i pensatori di
altre tradizioni, ma assumere il loro bagaglio di nozioni, come si dice, at its face value: così come sono,
magari banalizzandole, tradendole, ma facendo lo sforzo di allargare il proprio
dizionario filosofico nella direzione del mondo di domani. Puro politically correct? Può darsi, ma le
parole sono importanti, e quel che diventa lecito dire e non dire cambia il
corso del pensiero. Dignaga insieme ad Aristotele, pur banalizzato, storpiato,
malinteso, è un passo avanti per comprendere i problemi di sempre con lo sguardo
nuovo di un pensiero globale.
Sul tema della filosofia globale, avevo organizzato una conferenza a New York nel 2011, all'Istituto Italiano di Cultura : Global Humanities. Il dibattito era su temi affini, e in generale, su come le scienze umane, così radicate in tradizioni e valori locali, possano globalizzarsi. Gli archivi del dibattito con tutti i testi presentati sono disponibili online a: http://www.interdisciplines.org/conferences/Global-Humanities