This article has been published on the cultural supplement of Il Sole 24 Ore on Sunday, September 16th 2012. All rights reserved.
Il saggio filosofico, un genere letterario tipicamente francese, si sta imponendo anche nella nostra penisola. Reso celebre nella modernità da Michel de Montaigne, il saggio, a differenza dello studio filosofico, (ciò che in linguaggio accademico chiamiamo monografia) è tipicamente a tesi, affronta un tema con uno stile polemico e non risparmia le riflessioni personali, evitando la postura “oggettiva” del libro di ricerca. E’ indirizzato a un pubblico di lettori colti, ma non specialisti, pur mantenendosi in vivace conversazione con la comunità intellettuale e le sue tesi dominanti, che costituiscono proprio il bersaglio preferito dell’essayiste. E siccome in Italia, quando s’importano mode dall’estero, si diventa più realisti del re, il saggio italiano è sempre più spesso firmato da donne le quali, tradizionalmente erano più timide degli uomini a “spararle grosse” e si rifugiavano nel lavoro erudito, lasciando le luci della ribalta ai soliti noti colleghi tromboni. C’è da rallegrarsi dunque di questa nuova apertura stilistica nella nostra cultura e anche della sua encomiabile parità in termini di quote rosa.
Eppure, i risultati di questa nuova importazione non sono sempre soddisfacenti, tanto che viene da chiedersi se non fosse migliore la nostra cultura vecchiotta, i nostri libri infarciti di note a pié di pagina e di bibliografie sterminate - che i francesi manco si sognano - ma che hanno garantito la solidità culturale del nostro paese, complicato sì, ma ricchissimo di colti studiosi, forse pedanti, ma di grande raffinatezza, modestia, erudizione e indifferenti alle sirene della prima pagina.
Prendiamo l’ultima fatica saggistica di Michela Marzano, dedicata alla bellissima questione della fiducia. Un argomento che sembra ideale per questo genere letterario: chi di noi, infatti, tra crisi economiche, bolle speculative, crisi d’identità nazionale, globalizzazione, minacce di non fare più credito addirittura a stati sovrani, non s’interroga oggi su cosa resti della fiducia nelle nostre società? La fiducia è la dimensione nascosta del nostro vivere insieme, quel patto tacito quotidiano che fa sì che ci fidiamo che il cibo che compriamo sia commestibile, che i soldi che mettiamo in banca il 27 del mese siano ancora sul nostro conto il giorno dopo, che lo stipendio arrivi puntuale, che il ponte che attraversiamo in automobile non crolli, che il farmaco che ci ha prescritto il medico sia quello giusto e così via, fino alle questioni più intime della nostra vita, come l’amore, il tradimento, il rispetto della parola data. La fiducia è un concetto affascinante proprio perché è strutturalmente instabile, e quando pensi di averla spiegata, definita, catturata, ecco che ti sfugge di mano. La fiducia è fondamentale e fragile insieme: la si dà e la si pretende senza mai essere certi di essere corrisposti. E’ come se la certezza del legame sociale si fondasse su un’incertezza strutturale, irriducibile, una scommessa con gli altri continuamente rinnovata in una perenne postura da equilibristi che caratterizza la condizione umana, o, almeno, la condizione di noi moderni.
Ma alla Marzano tutta ‘sta incertezza moderna non piace. In realtà, secondo la filosofa, le nostre società, in cui si parla di fiducia in continuazione, sono società della sfiducia, in cui non ci si fida di nessuno, a meno che quell’altro non sia obbligato da un contratto firmato e controfirmato a rispettare gli impegni presi. Questa, secondo la Marzano, non è fiducia: al massimo è credito, un concetto tutto economico che rappresenta bene il degrado mercantile della nostra società, in cui la stoffa dei nostri rapporti sociali è intessuta di contratti, incentivi e sanzioni. E ciò perché la gente non ha il coraggio di fidarsi e basta e, senza chiedere nulla in cambio, correre a braccia aperte verso i suoi simili. Secondo la Marzano è proprio questa mancanza di fiducia, e quest’affidarsi solo a relazioni regolate di credito che ha provocato le recenti crisi finanziarie. E qui entriamo nell’analisi più bizzarra del volume, che occupa tutta la prima parte, in cui attraverso una superficiale ricostruzione della storia delle istituzioni monetarie dal Seicento fino alla crisi dei subprimes, la Marzano ci spiega che è proprio la fiduciaimmateriale e vuota che diamo alla moneta, che non rappresenta più nulla, che ci fa affondare nel disastro.
Ora, il lettore resta lievemente spiazzato: quale sarebbe la colpa delle istituzioni finanziarie? Di usare la moneta e le azioni fiduciarie? Di farsi credito sulla base di contratti? Per farci davvero del bene e fidarci tutti insieme dovremmo tornare al baratto? Ma non sono forse gli eccessi di fiducia nel mercato che creano le bolle? E non sono proprio coloro che i contratti non li rispettano, che si fanno fiducia facendosi l’occhiolino perché sanno di far parte della stessa cordata di strapotenti che può fregarsene delle regole che hanno portato il mondo a catafascio? Secondo la Marzano no. E’ la visione manageriale della fiducia razionale, quella - diciamo - che si studia con la teoria dei giochi, il dilemma del prigioniero e tutte quelle stregonerie, che ci sta sotterrando. Chi dà ragioni per fidarsi, chi pensa che cooperare possa essere razionale, fa parte di un complotto di razionalisti che sta portando la società sul lastrico. Anche i successi della bioetica, come la legislazione sul consenso informato che regola in modo nuovo, ragionato, i rapporti spesso paternalistici tra medico e paziente, non convincono pienamente l'autrice. Perché la fiducia, quella vera, “si impara unicamente dal momento in cui si accetta di saltare dalla finestra” (p. 11). Senza chiedere nulla in cambio, neanche che qualcuno ti venga ad acchiappare.
Il salto nel vuoto della Marzano lascia perplessi. Qual è il bersaglio? La società decente, per usare la bella espressione del filosofo Avishai Margalit, quella dove si ha ragione di far fiducia agli altri e di sviluppare norme e aspettative sull’affidabilità del prossimo? La Marzano conclude ieratica: “La scommessa della fiducia è la scommessa dell’uomo”. Ma che c’è di così morale, profondo e fondamentale nell’essere sicuri di perderla?