Pubblicato sul Domenicale de Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2005
Paul Ricoeur, 1913-2005
Je suis ce que je me raconte, sono ciò che mi racconto, una frase che riassume una delle assi centrali del pensiero di Paul Ricoeur, ultimo grande maestro della filosofia francese, che si è spento venerdì 20 maggio a Châtenay-Malabry.
Nato a Valence, nel 1913 da una famiglia protestante, Ricoeur ha attraversato le correnti principali del pensiero del Novecento, dall’esistenzalismo all’ermeneutica, dalla psicanalisi alla teoria del linguaggio, dalla morale alla riflessione religiosa, senza mai rinchiudersi sotto un’etichetta teorica e mantenendo il dialogo aperto fino alla fine con tradizioni filosofiche diverse e tra loro spesso contrastanti.
Le sue prime preoccupazioni filosofiche negli Anni Trenta sono influenzate dall’esistenzialismo francese di ispirazione cristiana. Partecipa dopo la Seconda Guerra Mondiale alla rivista Esprit, di orientamento cristiano sociale. La sua tesi di dottorato è dedicata al problema della volontà e del male, un’opera in tre volumi, ripubblicata nel 1960 sotto l’unico titolo : Finitude et culpabilité (Finitudine e colpevolezza) e influenzata dalla fenomenologia di Husserl e di Jaspers.
Professore a Strasburgo dal 1949, nel 1957 è chiamato alla Sorbona, dove resta fino al 1965 quando decide di trasferirsi nella nuova università di Nanterre, alle porte di Parigi, di cui diventa rettore. La questione del male e dell’azione involontaria insieme a un’assidua lettura dei testi biblici lo spingono verso due discipline a cui dedica i principali lavori di questo periodo : psicanalisi ed ermeneutica. Nel suo saggio su Freud, De l’interprétation, Ricoeur propone la sua lettura linguistica della psicanalisi come « campo ermeneutico », ossia come una forma di esegesi. Tema privilegiato del campo ermeneutico freudiano è il doppio senso, l’equivoco nascondersi e insieme disvelarsi nei simboli del sogno di un altro senso che emerge dal profondo e che lega, secondo Ricoeur, le riflessioni di Freud a quelle dell’antropologia e della fenomenologia della religione. Nella sua ricostruzione ermeneutica della psicanalisi si precisa un pilastro del suo pensiero, ossia la sua visione del soggetto come qualcosa a cui non si accede direttamente, ma solo tramite un’interpretazione indiretta dei segni culturali e delle mediazioni simboliche che costituiscono l’io come narrazione quotidiana. L’io non è allora che un testo che ci narriamo incessantemente sotto i vincoli della nostra storia culturale e al quale accediamo grazie a un esercizio di interpretazione, in un continuo dialogo con noi stessi.
Deluso dai fatti del 1968, criticato e profondamente incompreso dalla nuova generazione francese, Ricoeur si ritira per tre anni all’università di Lovanio, per poi cominciare una « seconda carriera » filosofica negli Stati Uniti, all’università di Chicago. E’ qui che si confronta con la filosofia del linguaggio di tradizione analitica, un dialogo ben elucidato dal suo lavoro sulla metafora : La metafora viva, (Jaca Book, 1981) e nella sua opera monumentale : Tempo e racconto (Jaca Book, 1986) sui rapporti tra storia, identità e finzione narrativa. Un trittico imponente, le cui implicazioni morali danno origine all’opera successiva, Soi-même comme un autre in cui Ricoeur precisa la sua posizione dialogica sul soggetto, costruito tramite una mediazione riflessiva che implica il punto di vista dell’altro in modo da rendere impensabili noi stessi senza gli altri. Ed è questa lettura indiretta di noi stessi che dà senso alla nostra esistenza sociale e morale. I suoi ultimi libri Le Juste, (2000) et La mémoire, l’histoire et l’oubli, (2003) testimoniano il suo impegno etico e la sua forte esigenza di una forma universale di morale, forse una delle motivazioni più profonde del suo pensiero.
Sunday, May 22, 2005
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Compliments
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