Published on Il Sole 24 Ore, June 20th 2010. All rights reserved. Do not quote without permission.
Sabato mattina, 9 e 30. Davanti al convento dei Cordeliers, teatro di tanti avvenimenti rivoluzionari, sfila una lunghissima coda di gente silenziosa che costeggia tutta la rue de l’Ecole de Médicine, risalendo fino al Boulevard Saint Michel. Non si tratta di una nuova assemblea rivoluzionaria del club dei Cordeliers, né di un discorso di Marat, i cui resti furono sepolti proprio nel giardino del convento: gli astanti attendono pazienti di ascoltare Noam Chomsky, 81enne, professore emerito al MIT, parlare di linguistica generativa. Chomsky era a Parigi per una serie di conferenze su temi diversi, politica, attualità e linguistica. Invitato da un comitato di amici di Chomsky dai tratti radicali che ricordano in effetti il club rivoluzionario dei Cordeliers, Chomsky ha parlato di politica, di guerra, di libertà, di cosa significa oggi essere un intellettuale radicale (un bel dibattito con Jacques Bouveresse che ha avuto luogo lunedì 31 maggio al Collège de France), di Israele, di diritti internazionali, e di altro ancora. Assente da più di 25 anni dalla Francia, a causa forse della brutta esperienza dell’ “affare Faurisson”, in cui Chomsky fu accusato a torto di aver preso le difese dello storico negazionista francese Robert Faurisson, Chomsky riappare come una star, in televisione, al Collège de France, intervistato su tutti i giornali, celebrato come “il più importante intellettuale vivente” in una delle trasmissioni culturali più seguite, Ce soir ou jamais di Frédéric Taddeï. La Francia scopre il suo intellettuale radicale, e di colpo “sdogana” anche le provocatorie e altrettanto radicali teorie sulla linguistica, dopo decenni di sarcasmo alla sola idea di pensare il linguaggio come un organo della mente.
Chomsky è seduto davanti all’immenso pubblico che riempe l’auditorium del convento. Calmo, come al solito, è l’immagine del carisma dell’anti-carisma: non si scompone mai, il suo tono di voce è sempre uguale, secco e preciso. Comincia la sua conferenza con una lieve ironia, stupito di vedere così tanta gente interessata a discorsi su suffissi e prefissi, su operazioni combinatorie e infinità discrete. E a ragione. La celebrità è un elisir che si diffonde sulle parti del sé più misteriose: come i fan che si gettano su un pezzo della giacca della loro rockstar preferita, così i nuovi fan radicali francesi si gettano pure sulla linguistica generativa, giusto per accaparrarsi un altro pezzetto, un’altra sacra reliquia del loro nuovo eroe.
Chomsky ripercorre le tappe più importanti della rivoluzione linguistica che ha iniziato ormai più di cinquant’anni fa. Prima di Chomsky la linguistica era una disciplina prevalentemente storica, che accumulava miriadi di dati e li organizzava in varie tassonomie. Grazie alla linguistica generativa, lo studio del linguaggio diventa vera e propria scienza predittiva che studia una funzione precisa della mente e cerca di spiegarne le proprietà strutturali e generative, ossia, che permettono a un organo finito di generare combinazioni simboliche infinite. Chomsky si definisce naturalista e internalista. Il suo naturalismo è la semplice constatazione che le proprietà della mente sono proprietà naturali dell’essere umano, biologicamente fondate e indagabili con i metodi della scienza. Il suo internalismo è il suo impegno a studiare non il linguaggio pubblico, che non è che l’esternalizzazione delle nostre capacità linguistiche, ma il linguaggio come un organo molto speciale della mente umana, le cui leggi di composizione simbolica e di funzionamento non possono essere ridotte a nessun altro sistema mentale o biologico. L’organo linguistico è come il sistema visivo o il sistema immunitario: un sistema specifico, con leggi proprie che, benché come qualsiasi organo non possa essere nettamente separato dal funzionamento globale dell’organismo, può essere studiato in modo indipendente. Nessuno cercherebbe di spiegare la nostra visione attraverso le leggi che regolano il funzionamento del nostro sistema immunitario. L’organo linguistico ha le sue leggi speciali, che sottostanno ovviamente alle leggi naturali a cui tutta la biologia sottostà, ma che vanno comprese nella loro specificità. Tra le proprietà specifiche di questo sistema, la più fondamentale è l’infinità discreta, che si esprime nella sua forma più pura nell’ordine dei numeri naturali 1,2,3… ossia la proprietà di un sistema di pochi simboli (10 nel caso dei numeri naturali) di generare una serie infinita. Questa capacità, solo umana, nessuno l’apprende: l’abbiamo e basta, frutto di una fortunata o sfortunata mutazione che fa degli esseri umani una specie a parte, con capacità di astrazione e velocità di ragionamento che non esistono in natura, proprietà che oggi ritroviamo potenziate nelle macchine create dagli umani secondo lo stesso principio di dotarle di un’infinità discreta.
Questo è fulcro della potenza linguistica di qualsiasi bambino, che da un insieme di stimoli ridicolmente povero e variabile, riesce a ricostruire sempre lo stesso linguaggio, con differenze culturali che a noi paiono enormi, ma che a un osservatore marziano parrebbero poco di più che differenze di pettinatura. Chomsky ritorna sul suo celebre argomento della “povertà dello stimolo”: perché non ci stupisce che il sistema visivo si sviluppi sempre uguale nonostante ognuno di noi veda cose diverse, che il sistema immunitario si sviluppi sempre uguale nonostante ecologie circostanti profondamente diverse, e invece facciamo fatica ad accettare che il linguaggio, con sistematiche variazioni prevedibili dalla teoria, sviluppi una struttura interna sempre uguale? “Concedetevi lo stupore davanti al mondo”, ripete Chomsky, non date nulla per scontato, anche quello che a tanti pare evidente. Forse è questa l’autorità morale e intellettuale di questo vecchio saggio, di sapersi ancora stupire davanti ai fatti.
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